Il C. dovette allora lasciare la città insieme agli altri membri della sua famiglia e condividere il temporaneo esilio toccato allo spodestato signore, il fratello Francesco Novello. Visse così a Pavia, poi a Milano e ad Asti, infine a Firenze, dove il Novello, giunto nell'aprile del 1389 al termine di una fuga avventurosa e drammatica, aveva trovato rifugio per sé e i parenti, e sostegno alle proprie rivendicazioni. Con l'appoggio di Firenze e il tacito consenso di Venezia, il fratello riusciva l'anno seguente a penetrare nottetempo in Padova e a recuperare la perduta signoria (8 sett. 1390); il C., che nell'ardita impresa aveva svolto un ruolo importante guidando l'assalto alle porte delle Torricelle e di ponte Altinate, punti chiave per la conquista della città, ricevette dal Novello, a titolo di ricompensa, molti beni confiscati alle famiglie padovane ribelli e filoviscontee. Costituitasi la prima lega antiviscontea (inverno del 1390), il C. ebbe nuovamente parte attiva e intervenne nel maggio del 1391 a quella marcia verso il cuore del ducato milanese che nei progetti degli alleati avrebbe dovuto finalmente stroncare la resistenza del Visconti. La penuria di foraggi e di vettovaglie e soprattutto il lungo ritardo del conte d'Armagnac, cui era affidato il compito di assalire da ovest la Lombardia, costrinsero però le truppe carraresi, capitanate da Giovanni Acuto, a un precipitoso rientro in patria. Ma quando nel giugno del 1404, morto il Visconti, scoppiarono le ostilità tra Francesco Novello e la Repubblica di Venezia, il C. si distaccò nettamente dalla linea politica perseguita dal fratello e appoggiò invece le aspirazioni della Serenissima, tanto da stringere con questa un accordo segreto ai danni del signore di Padova. Il trattato fu concluso il 6 marzo del 1405, in un momento particolarmente critico per il Novello, che proprio nel gennaio di quell'anno era stato privato dalla diplomazia veneziana del suo unico alleato, il marchese Nicolò d'Este. In base ad esso il C. si impegnava ad aprire una porta di Padova alle milizie veneziane e a consegnare Francesco Novello prigioniero; in cambio del tradimento avrebbe ricevuto dal Senato veneto la metà delle proprietà del fratello, 10 mila ducati d'oro, una casa a Venezia e l'ascrizione alla nobiltà veneziana (v. il trattato in Verci, XVIII, doc. 2038, p. 74). Ma due giorni dopo (8 aprile), la macchinazione fu scoperta grazie alla denuncia sporta dai figli del C., Bonifacio e Paolo. Arrestato e messo alla tortura, il C. confessò il complotto e venne rinchiuso nella torre del Gigante, all'interno del castello. Qui, secondo la narrazione dei Gatari (p. 552), si suicidò il 9 aprile appiccando fuoco a un mucchio di paglia. Scrive invece il Delayto (col. 1026) che ad ucciderlo fu lo stesso Francesco Novello con un colpo di spada. Il C. venne sepolto a Padova nella chiesa domenicana di S. Agostino. Dalla moglie Lucia Contarini, figlia di Bartolomeo, ebbe cinque figli: Nicolò e Antonio, che, insieme ai già ricordati Bonifacio e Paolo, fuggirono a Firenze nel novembre del 1405, dopo la caduta di Padova sotto il dominio veneziano, e vi finirono i loro giorni; Maria, sposata nel 1413 a Francesco Contarini e, alla morte di questo, ad Alvise Storlato, procuratore di S. Marco: a lei la Repubblica veneta, in memoria dei meriti del padre, concesse nel 1406 la proprietà dei beni confiscati ai fratelli.
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